Io sono presente al mio corpo non semplicemente come il nocchiero lo è al suo vascello, ma… gli sono strettissimamente congiunto e per così dire mescolato, in modo da comporre un’unità con esso.
Cartesio, Meditazioni metafisiche (1641)

Per la maggioranza delle culture, essere umani significa avere il corpo abitato da un qualche tipo di spirito. Può trattarsi di uno spirito che porta in sé un particolare significato religioso, per esempio un frammento della divinità o di uno spirito universale. O può essere qualcosa privo di qualsiasi elemento soprannaturale, come la mente o la coscienza. Lo spirito potrebbe essere eterno, oppure dissolversi con la morte del corpo o, ancora, continuare ad esistere nell’etere in forma di fantasma. C’è anche la possibilità che questa idea sia del tutto sbagliata e che non ci sia alcuno spirito ad animarci.

Linea di demarcazione

Platone credeva che l’anima, immateriale, semplice e immortale, dal momento in cui si trovava ad abitare un corpo fosse in temporaneo esilio dal regno delle idee, intrappolata nel corpo con i suoi bisogni e impulsi materiali e da quello limitata nel suo potenziale di conoscenza intellettuale.

Anche per il religioso l’anima è spesso vista come intrappolata nel corpo: aspira alla bontà o a Dio, ma è in balia dei bassi impulsi per soddisfare le prosaiche necessità del corpo. La relazione tra corpo e anima è spesso caratterizzata da una tensione tra le due, con l’anima sempre nel ruolo della parte più nobile. Cartesio, stimolato da un crescente interesse per la meccanica e la scienza, avanzò l’ipotesi che il corpo umano fosse una complessa macchina biologica governata da uno spirito. Questa fu chiamata da Gilbert Ryle (1900-1976) la teoria del “fantasma nella macchina”.

A prima vista sembra piuttosto intuitiva: sappiamo che c’è una parte di noi che pensa, sogna, coltiva speranze e ha esperienze, e questa parte ci sembra diversa da quella che respira o fa le scale di corsa. Questa separazione di noi stessi in due parti (quella fisica e quella spirituale o mentale) si chiama dualismo. Ma anche questa divisione apparentemente intuitiva è problematica.

Mente e anima

Il corpo ha ovviamente un impatto sulla mente o sullo spirito. Se siamo agitati, questo si manifesta fisicamente attraverso le lacrime o la respirazione alterata. Se siamo feriti, il dolore che proviamo può oscurare qualsiasi altro pensiero. Distinguiamo i movimenti fisici in atti consci o inconsci, avendo chiara la differenza tra l’azione involontaria del nostro cuore che pompa il sangue e quella volontaria di abbracciare un bambino. Benché sappiamo quali parti del cervello e del sistema nervoso ci permettono di pompare il sangue o di dare un abbraccio, non sappiamo da dove venga l’impulso di abbracciare il bambino.

Cartesio pensò di aver individuato la sede dello spirito nella ghiandola pineale, una piccola struttura situata al centro del cervello. Non era il primo ad arrivare a questa conclusione: gli antichi cinesi chiamavano la ghiandola pineale “l’Occhio Celeste”, mentre nell’Induismo essa è “la finestra di Brahma”. Tuttavia Cartesio non fu in grado di spiegare come l’anima, assolutamente intangibile, potesse avere un effetto sul corpo o in generale sul mondo fisico. Questo rimane il problema del dualismo cartesiano: come può qualcosa d’immateriale avere un impatto materiale o essere affetto da qualcosa di materiale?

Non è sufficiente che una cosa ci sembri sensata, né che molte persone ci credano, perché sia vera, quindi non è detto che debba esserci divisione fra corpo e anima. Nel XX secolo il filosofo francese Maurice Merleau-Ponty respinse l’idea cartesiana della divisione tra corpo e anima. Vedeva al contrario l’entità umana come interamente biologica: “io sono il mio corpo”.

Bertrand Russell invece negò l’esistenza di uno spirito o anima, in quanto per lui la mente è essenzialmente una raccolta di eventi mentali: memorie, pensieri ed esperienze. Il filosofo britannico Gilbert Ryle sosteneva che questa nostra percezione della separazione tra anima e corpo deriva dal linguaggio che usiamo per descrivere l’aspetto fisico e quello spirituale separatamente.

Il filosofo, logico e psicologo americano Daniel Dennett sostiene che tutti gli aspetti del carattere, pensiero, personalità e coscienza sono prodotti della neurologia, determinati e creati da meccanismi di biochimica nel cervello e nel corpo. Se nulla distingue la mente dal corpo, ne consegue che non ci sia niente che distingua gli uomini dagli altri animali. Dennett si spinge oltre, e asserisce che non c’è nulla di speciale negli esseri viventi in generale: un computer che sembri intelligente è intelligente. Dennett vede un fantasma in quella che è, letteralmente, una macchina (anche se non è un fantasma, ma un artefatto).

Il cervello è cosciente come l’acqua bagnata

Per il filosofo americano John R. Searle la coscienza è una “proprietà emergente”, qualcosa che si sviluppa quando un numero sufficiente di neuroni si raggruppa. Una proprietà emergente è qualcosa che si manifesta solo quando una gran parte di qualcosa si ritrova insieme.

L’essere bagnata è una proprietà emergente dell’acqua: una singola molecola d’acqua non è bagnata, mentre lo è l’acqua come insieme di molecole. Così, mentre un singolo neurone non è probabilmente cosciente, un gruppo di neuroni produce coscienza. Per Searle la coscienza è un prodotto, interamente fisico, della neurochimica del cervello, non un fenomeno mistico o “altro”.

Dove si comincia?

Sia che consideriamo la parte cosciente e pensante dell’essere umano come una manifestazione neurologica o che la consideriamo spirituale, rimane da capire da dove venga e quando abbia inizio. In molte religioni è la mitologia a offrire una spiegazione, ovvero che l’anima entra nel corpo a un certo punto prima della nascita.

Gli umani, come sappiamo, raggiungono un alto livello di coscienza; allora in quale momento dello sviluppo dell’individuo si manifesta l’anima? La questione è più urgente di quanto possa sembrare in un primo momento, poiché la risposta teoretica, qualunque essa sia, determinerebbe il modo in cui pensiamo debbano essere trattati i nascituri, incluse le questioni riguardanti le sperimentazioni, le procedure mediche e, ovviamente, l’aborto. Tre settimane dopo la fecondazione dell’ovulo umano, il cervello e il midollo spinale dell’embrione cominciano a svilupparsi. Questo è il momento in cui, se la coscienza è una proprietà emergente dell’attività neuronale, il nuovo umano potrebbe cominciare a essere cosciente.

Bambini nati a 22 settimane di gestazione riescono a volte a sopravvivere, quindi magari possiamo considerare questo il momento in cui si forma la coscienza. Non è solo lo sviluppo del singolo umano a porre un problema difficile. Se uno spirito o una coscienza non è qualcosa di speciale e tipicamente umano, quando può fare la sua comparsa nella storia evolutiva? Quanti neuroni devono essere presenti affinché si metta in moto una coscienza

Potremmo ipotizzare che ci siano vari livelli di coscienza. Che forse anche altri mammiferi possono provare un senso di piacere o impazienza. Ma difficilmente riusciamo a immaginare, per esempio, degli impala o degli alligatori meditare sulla natura del male, chiedersi se esiste qualcosa dopo la morte o elaborare il calcolo differenziale.

Bibliografia:
Think like. Pensa da filosofo: Comprendere i grandi temi dell’etica e della logica nella vita quotidiana di Anne Rooney

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